Il virus del papilloma umano (Human Papilloma virus/HPV) è un virus molto comune, presente ovunque, individuabile in oltre il 40% della popolazione sessualmente attiva. Non predilige categorie a rischio ed è riscontrabile in qualunque fascia di età.
Ad oggi sono stati identificati oltre 100 sottotipi di virus, una ventina dei quali possono infettare la regione genitale. Alcuni di questi sottotipi possono causare piccole lesioni di caratteristico aspetto “a cavolfiore”, chiamati condilomi (creste di gallo, verruche); altri sottotipi possono essere responsabili di alterazioni microscopiche, non visibili ad occhio nudo ma evidenziabili con esami comuni (come il PAP-test) o con esami specialistici (colposcopia, biopsie mirate).
Le nostre pazienti si chiedono:
1) Come avviene il contagio e quali sono i rischi dell’infezione?
Il papilloma virus è un virus che si trasmette prevalentemente attraverso il contatto sessuale, anche se estremamente rare, sono il contatto con le comuni verruche cutanee, gli indumenti intimi, (biancheria, asciugamani, ecc.), la trasmissione da madre a feto. Improbabile appare la trasmissione da pavimenti, docce, saune.
Preferisce, per riprodursi, le zone mucose (vagina, collo dell’utero, ano) e cutanee (vulva, pene, scroto, e zone perianali e perineali).
Alcuni tipi virali possono talvolta provocare delle escrescenze (lesioni floride di tipo papillare= condilomi), visibili ad occhio nudo; altri tipi virali invece possono dare lesioni generalmente sospettate dal Pap-test (o striscio cervico-vaginale), visualizzabili solo con l’aiuto di un microscopio apposito definito colposcopio.
L’infezione da HPV nel corso della vita è più frequente nell’età fertile (soprattutto prima dei 35 anni) ma nessuna fascia di età ne è comune. Tuttavia l’80% delle infezioni da virus HPV non è clinicamente evidente, è transitoria (con una durata media da 6 a 14 mesi) e non produce danni cellulari. Solo nel 20% dei casi si producono modificazioni nelle cellule che rivestono il collo dell’utero o gli altri epiteli genitali e esistono quindi in alterazioni del PAP-test.
2) Quale è il tempo di incubazione?
Il contatto con il virus può trasformare il soggetto in “portatore”, con la persistenza del virus allo stato latente (invisibile) a livello genitale; tale periodo può durare da poche settimane ad anni prima che si sviluppino eventuali lesione clinicamente evidenziabili.
Non è quindi possibile definire una data precisa in cui è avvenuto il contagio, ne un periodo di incubazione (periodo che precede lo sviluppo della lesione) definito e costante, nonostante l’ampia variabilità del comportamento virale. Il contatto con il virus può risalire quindi a settimane, mesi o anni prima della sua manifestazione clinica o del suo riscontro mediante ricerca specifica o Pap-test. Dopo il contagio, se il virus non determina lesioni, il Pap-test può risultare negativo.
3) Come si trasmette e come si prende?
Gli aspetti della trasmissione non sono ancora ben definiti: alcune persone trasmettono il virus dopo pochi contatti, altre possono non trasmetterlo del tutto. Per tale motivo è consigliato l’impiego del profilattico anche se questo non svolge un ruolo protettivo assoluto, non proteggendo i genitali esterni. Per contro, il non uso, o l’impiego irregolare o non corretto possono esporre maggiormente all’infezione (più frequente nel caso di partners sessuali multipli).
I contraccettivi orali non aumentano il rischio di infezione (ma non ostacolano il passaggio del virus) e non proteggono da altri contagi a trasmissione sessuale.
La trasmissibilità dell’HPV al partner è elevata nel caso di lesioni floride (condilomi), mentre si presume sia bassa o assente nel caso di infezione latente (invisibile) o subclinica (evidenziabile solo con tecniche specifiche). Può essere comunque utile, in casi selezionati e indicati dal medico, il controllo mirato del partner.
4) Avrò problemi per una futura gravidanza?
L’infezione in atto o pregressa non compromette la possibilità di avere una gravidanza. I trattamenti che possono essere fatti per curare le eventuali conseguenze dell’infezione sul collo dell’utero sono finalizzati a mantenere l’integrità e la funzionalità dell’apparato genitale inferiore.
5) l’infezione da HPV contratta in gravidanza può compromettere quest’ultima?
La presenza di condilomi a livello di vulva e perineo non rappresenta un pericolo per la gravidanza, né una controindicazione al parto per via vaginale, a meno che le dimensioni non siano di ostacolo meccanico al passaggio del feto. In questa condizioni un neonato su 400 può presentare condilomi a livello laringeo. E’ ammessa e dimostrata la possibilità di trasmissione materno-fetale diretta, con risalita del virus nel liquido amniotico: questo spiega pertanto l’inutilità teorica di eseguire un taglio cesareo a scopo preventivo.
6) L’HPV può provocare sintomi locali?
In presenza di condilomi floridi, possono talvolta manifestarsi bruciore, prurito, fastidio, perdite biancastre. Questi sintomi non sono dovuti ai condilomi in sé (dal momento che tali lesioni interessano solo gli strati più superficiali – non innervati – dell’epitelio e non producono sostanze o secrezioni ad azione infiammatoria) ma ad altre infezioni (batteri, funghi…) concomitanti e sovrapposte, che possono essere risolte con una terapia specifica.
7) Come si cura? e, soprattutto, si guarisce?
Nel caso di lesioni cellulari di grado lieve, specie nelle donne di giovane età, l’atteggiamento può essere di semplice attesa e controllo nel tempo, vista la frequenza di guarigioni spontanee.
I condilomi floridi localizzati sui genitali esterni (aree cutanee e non mucose) possono essere trattati con terapia farmacologica (applicazione ripetuta di una crema immunomodulante, l’imiquimod capace di stimolare le difese immunitarie contro l’infezione) oppure con svariate terapie distruttive (applicazione da parte del medico di acidi, vaporizzazione con laser, crioterapia, diatermocoagulazione).
Non esistono invece ad oggi farmaci efficaci per le varie lesioni (condilomi o alterazioni cellulare e istologiche) localizzate sulle zone mucose (quali il collo dell’utero, la vagina, il canale anale) dove si può intervenire solo con mezzi fisici o chirurgici, finalizzati alla asportazione (bisturi, ansa diatermica, conizzazione) o alla distruzione (diatermocoagulazione, laservaporizzazione, criocoagulazione) di una piccola porzione del tessuto dove si localizza il virus, individuata mediante colposcopia.
A tali terapie seguono i controlli mirati a definire se il virus è stato eliminato del tutto dai tessuti. Sono consigliabili controlli periodici, ogni sei mesi, nei primi due anni dopo la terapia chirurgica, preferibilmente eseguendo una colposcopia per escludere la presenza di nuove lesioni virali.
Talvolta anche dopo terapia il virus non viene eradicato del tutto e quindi può persistere a livello del collo dell’utero o della vagina: da qui la necessità di controlli periodici e di trattamenti ripetuti.
L’osservanza dei controlli, la modifica di alcune abitudini di vita (riduzione o abolizione del fumo) e sessuali (impiego del preservativo) rimangono ad oggi gli strumenti principali per annullare o ridurre gli effetti negativi di questa infezione.
8) Questa infezione è correlata con il tumore del collo dell’utero?
I virus HPV, in rapporto alla loro potenziale capacità di favorire col tempo lo sviluppo di un tumore, sono stati suddivisi in sottotipi a basso, medio ed alto rischio oncogeno.
I virus a medio ed alto rischio, in associazione ad altri fattori (come il fumo), possono causare se non controllati tumori del collo dell’utero, vagina, vulva, pene, ano.
Scopo del Pap-test è proprio quello di evidenziare tempestivamente le alterazioni che precedono di anni lo sviluppo del tumore; il Pap-test è un test di screening (anzi è il più efficace test di screening disponibile in medicina): è un esame che deve essere eseguito da donne sane affinché esse rimangano sane, ed eventuali anormalità vengano diagnosticate allo stadio più iniziale possibile.
La colposcopia è un esame di secondo livello, richiesta dal medico in presenza di alterazioni cellulari al Pap-test ed è in grado di localizzare, biopsiare ed eventualmente rimuovere le aree specifiche anormali dalle quali si sono staccate le cellule evidenziate al Pap-test.
Il prelievo (biopsia) di queste zone a livello del collo dell’utero può portare ad un referto di:
Le lesioni displastiche possono regredire spontaneamente (tale evento è preceduto dalla scomparsa del virus): le lesioni lievi e lievi-moderate regrediscono fino al 50% dei casi entro tre anni, soprattutto in donne giovani, mentre quelle severe hanno una percentuale di regressione spontanea nettamente minore, che tra l’altro diminuisce con l’avanzare dell’età.
Trattandosi di un virus contro cui non abbiamo antidoti o farmaci efficaci (come peraltro la quasi totalità degli altri virus, influenza e raffreddore inclusi) non possiamo considerare definitivi e conclusivi i nostri schemi terapeutici. Il controllo regolare negli anni (anche il solo semplice Pap-test) rimane l’arma più efficace contro la possibile evoluzione tumorale. Il vero fattore di rischio per la progressione delle lesioni verso il cancro è infatti la persistenza dei virus, soprattutto dei sottotipi ad alto rischio oncogeno, nelle cellule. Tale persistenza dipende in primo luogo dallo stato immunitario dell’ospite (che può risentire di una predisposizione genetica) e dall’intervento di alcuni co-fattori negativi, noti e non, di cui il fumo di sigaretta rappresenta sicuramente il principale.
Questo testo è stato preparato da GLI-HPV
(Gruppo Ligure Interdisciplinare per l’HPV – Ver. 3.04)
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